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lunedì 11 giugno 2012

ETTORE MASINA: LETTERA 153, MAGGIO 2012

A portarlo al pronto soccorso di un ospedale ateniese è stato un gruppo di giovani. Si occupavano di quel vecchio con una tenerezza che ha commosso il medico di guardia ma lo ha fatto anche arrabbiare: “Vostro nonno è in crisi respiratoria perché ha inalato i gas lacrimogeni della polizia. Non è grave, ma gli anziani, in questi giorni di violenza, bisogna tenerli in casa!”. I giovani – idioti! – hanno riso, guardandosi fra loro.
Più tardi il vecchio è stato dimesso. Il medico lo ha rivisto il giorno dopo in una grande fotografia su un giornale; con i suoi capelli candidi e il corpo appesantito dagli anni, stava in prima fila in un gruppo di manifestanti che si opponevano a una carica di poliziotti. “Anche Manolis in piazza” spiegava il quotidiano. Manolis Glezos, novant’anni, è uno dei due resistenti greci che, esattamente 71 anni fa, la notte del 30 maggio 1941, scalarono il colle Eretteo per strappare dal Partenone la bandiera nazista inalzatavi dagli invasori tedeschi. Con lui, quella notte, c’era un altro studente, suo coetaneo: Apostolos Santas detto “Lakis”. “Lakis” è morto il 30 aprile scorso. “Altrimenti – dice Manolis- sarebbe stato in piazza con me contro la dittatura internazionale che ci impone di diventare più poveri o di scomparire”.


Quale bandiera sventola oggi sulla Grecia? Quella di una storia gloriosa e terribile, sanguinosa e luminosa della quale anche noi (la nostra cultura, il concetto di civiltà, di democrazia) siamo figli o quella della legge barbara e regressiva del più forte che schiaccia il debole? Nelle ultime elezioni un numero pericolosamente alto di greci ha votato per una destra ottusa e violenta: il 40 per 100 dei poliziotti e dei militari ha scelto “Chrysi Avgi” (Alba dorata), una formazione neo-nazista che propone, fra l’altro, di minare le frontiere per bloccare l’ingresso di clandestini nel paese. Questa degenerazione politica è perfettamente funzionale al feroce cinismo del sistema capitalista mondiale. Dovunque gli speculatori finanziari stringono i paesi nella tenaglia del loro potere, la democrazia entra in crisi. Sembra incredibile che non se ne accorgano gli statisti europei: non basta proclamare la propria fedeltà alle costituzioni liberali se poi ci si affida (o ci si arrende) alla brutalità di quello che fu chiamato l’imperialismo internazionale del danaro: l’umanità è ormai sospinta sul crinale apocalittico che divide le estreme speranze di chi crede nella dignità dell’uomo dal baratro dei regimi totalitari. Hitler è morto da più di mezzo secolo, il colonialismo italiano è stato rimosso dal nostro passato, lo stalinismo è un’immensa macchia di sangue sul registro delle utopie ma la sfrenata violenza dell’odierno sistema finanziario evoca la terribilità dei popoli gettati, nel secolo scorso, dalle peggiori dittature nella geenna del sottosviluppo: della fame, della perdita di ogni libertà, della deportazione. Non sembrano abbandonate nelle regioni maledette dell’impotenza e dell’insignificanza le masse (soprattutto giovanili) di disoccupati? Un popolo di 23 milioni e mezzo di persone soltanto nel nostro continente.


Sono anni che questa situazione va aggravandosi e troppi di noi non hanno avuto occhi per vederlo o hanno temuto di essere trattati da fanatici dalle persone sagge se ne parlavano. Ogni tanto quando ci raggiunge l’ultima brutta notizia dalle borse (questi lindi scannatoi delle speranze dei cosiddetti risparmiatori) restiamo sorpresi: ma com’è possibile? Sorpresi? Permettetemi di raccontarvi un minimo episodio. Il mese scorso sono stato a Zugliano per commemorare Turoldo e Balducci, nel ventesimo anniversario della loro morte. La manifestazione si è svolta in quella comunità cristiana fondata da don Pierluigi di Piazza che è oggi uno dei centri più vivi nella meditazione del vangelo e dei segni dei tempi. È uno dei luoghi in cui mi reco più volentieri perché mi sento accolto come un fratello. Questa volta i miei ospiti mi hanno fatto un regalo. Mi hanno donato il testo stenografico di una mia relazione. La data di quella mia chiacchierata è il 2 dicembre 1982. Ebbene, io che non sono mai stato più che un manovale della politica, parlavo, fra l’altro, “di uno stato ridotto allo sfascio da trent’anni di clientelismo e dalle congiure del potere nel supremo disprezzo della democrazia; di una scuola incapace di rispondere alle autentiche esigenze dei giovani; di una classe dirigente che nell’affrontare il mostruoso deficit del bilancio nazionale anziché accentuare la pressione fiscale sui ricchi, taglia i redditi dei lavoratori dipendenti, taglia i finanziamenti agli handicappati e ai malati, mitizza il costo del lavoro, senza domandarsi quale sia il profitto del capitale…” etc. etc. Dicembre 1982, il presidente del consiglio Giuliano Amato aveva appena varato la manovra Sangue & Lacrime, ricordate? A pagare di più –già allora, e da allora poi sempre - i cittadini meno abbienti. E descrivevo così i signori della casta che imponevano sacrifici crudeli alle classi “subalterne”: “Essi non sanno più quanto sia difficile il bilancio della famiglia di un lavoratore a reddito fisso; da anni non viaggiano su un autobus o su un treno di pendolari; non entrano in una corsia di ospedale; non ascoltano i giovani disoccupati, non fanno la fila davanti agli sportelli delle pensioni; non entrano in un mercato rionale, non conoscono, insomma, da vicino le tensioni che complicano e aggravano la vita dei comuni cittadini; e perciò spesso legiferano e chiedono alla gente, come in questi giorni, ulteriori sacrifici senza rendersi conto dei carichi che impongono…”. Erano gli anni in cui l’economia dei mercati conteneva ancora qualche regola e proporzione di scambio: manufatti contro materie prime, lavoro anche duro contro riconoscimento di diritti basilari, Ma già stava profilandosi il più tragico dei mutamenti della storia: l’ irruzione dell’informatica in un’economia globalizzata consentiva agli insaziabili ricchi e alle loro consorterie di inventarsi un nuovo sistema internazionale, un mercato virtuale che permetteva agli speculatori nuovi margini di guadagno spostando con brutale rapidità da uno stato all’altro enormi capitali. I paesi meno ricchi sono stati aggrediti, vampirizzati, con la correità dei peggiori governanti nazionali ed esteri. Ricordate gli spot televisivi berlusconiani per insegnarci la riconoscenza per chi comprava il superfluo e svendeva il nostro bilancio? La Grecia è un esempio di questa riduzione di sovranità: dopo il monumentale narcisismo delle Olimpiadi e l’acquisto, per ingloriosi obblighi diplomatici, di sottomarini tedeschi, al suo popolo è ormai concesso un solo diritto, quello di uniformarsi alle decisioni dei suoi sfruttatori. Mai l’umanità ha conosciuto nella sua storia una simile offensiva contro la dignità che milioni di operai e di contadini erano riusciti a conquistare negli ultimi due secoli, pagando un altissimo prezzo di sangue. A quella che era stata definita “civiltà del lavoro”, scrive adesso Eduardo Galeano, subentra la “civiltà della paura”: paura di non trovare lavoro, paura di perdere il lavoro trovato, paura che il lavoro diventi sempre più duro, paura che il lavoro venga sempre meno retribuito. Retorica? Un numero crescente di lavoratori torna nei capannoni delle fabbriche emiliane frantumate dal terremoto, anche prima della verifica della loro abitabilità: preferiscono rischiare la morte piuttosto che il salario. E c’è di peggio. La paura si accompagna allo sberleffo con il quale gli “esperti” credono di rendere più incisive le lezioni che impartiscono ai cittadini. Come dice ancora Galeano, un tempo anche gli uomini della destra convenivano che le grandi miserie erano figlie di grandi ingiustizie; ma da qualche tempo hanno cominciato a predicare che la povertà è la punizione per le eccessive pretese dei lavoratori: “Avete voluto troppo. Adesso bisogna ridurvi il Welfare!”. (Qualcuno deve avere illustrato a Galeano l’ossessivo florilegio della nostra Matrigna Nazionale, Elsa Fornero).


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Ammainata su tutta l’Europa la bandiera di Manolis e di Apostolos? Può darsi, e può darsi che altre ne vengano presto portate nelle botteghe degli antiquari, a cominciare da quella dell’Italia dei professori altezzosi e dei partiti precipitati nel marasma etico in cui agonizza la Seconda Repubblica.. E tuttavia molti di noi vecchi, che pure non siamo più in grado di scalare erettei né di domandare ai professori-badanti se proprio bisogna piegarsi ogni giorno un po’ di più al potere degli speculatori, sentiamo spesso che non tutto è perduto. Sappiamo bene di contare poco da molti punti di vista ma ci capita di sentire in noi, di tanto in tanto, all’improvviso, quel respiro della storia che si chiama speranza. Ogni nostra esistenza lo testimonia: ogni scelta che abbiamo tentato e ogni scelta altrui alla quale abbiamo dovuto fare fronte ha richiesto quel respiro. Ogni lacrima di umiliazione, o di dolore ci ha estorto il coraggio di vivere. Dicono che la speranza sia prerogativa dei giovani, ma non è vero: i giovani di oggi sono disperati e quelli di un tempo erano ottimisti soltanto perché non conoscevano la storia che li attendeva. Noi la storia l’abbiamo vissuta tutta, come si spolpa un frutto e –ascoltate! - abbiamo imparato che giustizia, equità, eguaglianza, fraternità, vincono sempre le loro battaglie se a quelle battaglie partecipano gli uomini e le donne di buona volontà.


P.S. Desidero informarvi che ho ritenuto importante iscrivermi alla formazione di ci qui sotto. Mi piacerebbe incontrare molti di voi.


I COMITATI DOSSETTI PER LA COSTITUZIONE, L’ASSOCIAZIONE PER LA DEMOCRAZIA COSTITUZIONALE, ALTRAPAGINA, L’ASSOCIAZIONE PER IL RINNOVAMENTO DELLA SINISTRA, IL CENACOLO BONHOEFFER DI MODICA, IL CENTRO PER LA PACE DI BOLZANO, MISSIONE OGGI, IL CENTRO BALDUCCI DI ZUGLIANO DEL FRIULI, L’ASSOCIAZIONE SAN SALVI PELLICANO’ DI FIRENZE, PACE E DIRITTI, KOINONIA, IL CIPAX, LA CASA DEI DIRITTI SOCIALI


propongono


“ECONOMIA DEMOCRATICA”


Dopo un confuso periodo di turbolenza dominato dalla figura di Berlusconi, si è reso manifesto in Italia il vero problema che mette a repentaglio il futuro del Paese e la sicurezza dei cittadini: il sopravvento dell’economia sulla politica che rende tutti indifesi e prosciuga gli spazi della democrazia.


Questo processo che in forza della globalizzazione investe tutto il mondo, in Italia è già molto avanzato. Lo si vede dalla condizione cui è stato ridotto il lavoro, espropriato alle persone, negato ai giovani e non più messo a fondamento della Repubblica; lo si vede dal trasferimento della sovranità dal popolo ai Mercati; nella sottrazione allo Stato di ogni facoltà e strumento di intervento nella vita economica; nello svuotamento del principio di rappresentanza e delle vie per la partecipazione dei cittadini alla determinazione della politica nazionale; nell’abbandono della concertazione con le parti sociali e nella rinunzia a promuovere la coesione sociale; nella crisi dello Stato di diritto per il venir meno di uno spazio pubblico capace di dettare le regole al sistema delle imprese e all’economia privata; nella pretesa oggettività e neutralità delle decisioni tecnocratiche; nello smarrimento e anzi nel rovesciamento degli ideali di solidarietà e giustizia che diedero luogo alla costruzione dell’Europa.
La causa di tutto ciò sta nella rottura del rapporto vitale tra economia e democrazia, sul quale si è costruita gran parte della storia moderna dell’Occidente. Questa storia è risultata infatti dall’incontro di due movimenti: un impetuoso sviluppo dell’economia, nelle sue diverse forme di economia capitalistica, socialista o keynesiana, e un impetuoso sviluppo della democrazia, sia nella sua dimensione procedurale che nei suoi contenuti sostanziali. Il momento di massima convergenza e unità tra lo sviluppo dell’economia e quello della democrazia si è avuto, dopo la vittoria sul nazifascismo e la tragedia della guerra, nel costituzionalismo interno e internazionale e, in Italia, nella Costituzione del 1948, che prescriveva di fare della comunità politica il regno dell’eguaglianza, della persona il tempio della libertà e dignità umana, e della Repubblica il potere legittimo avente il compito di rendere effettivi i diritti e di rimuovere gli ostacoli anche di ordine economico e sociale che ne impediscono di fatto l’esercizio.
Oggi questa integrazione tra economia e democrazia si è rotta, e nello stesso tempo e non per caso si è arrestato lo sviluppo sia dell’una sia dell’altra. L’economia non solo si è isolata e affrancata dalla regola democratica ma, a cominciare dall’ordinamento europeo, si è sovraimposta. alla società e alla politica.
È giunto in tal modo a un punto culminante un processo per cui a un capitalismo che pretendeva di farsi legge a se stesso e all’intera società, il legislatore, e perciò la politica, ha risposto attribuendogli ogni potere e permettendogli di stare “nell’ordinamento giuridico solo per servirsene, ma non per assoggettarvisi” come già denunciava nel 1951 Giuseppe Dossetti in un ben noto dibattito col prof. Carnelutti. È sulla scia di questo indirizzo che negli anni 70-80 del Novecento irruppero sulla scena le politiche reaganiane e tatcheriane, che presero poi piede anche all’Est dopo la rimozione del muro di Berlino e contagiarono le stesse sinistre dell’Ovest, dal Labour Party di Tony Blair ai partiti ex comunisti europei. Ne è derivata la rinunzia ad ogni controllo sui movimenti dei capitali, l’immunità fiscale per le grandi ricchezze, la riduzione dei diritti del lavoro e del lavoro stesso visti solo come costi e limiti alla competitività e ai profitti d’impresa, il primato attribuito ai mercati sopra e contro i compiti che la Costituzione attribuisce alla “Repubblica”.
Questa supremazia di un’economia fine a se stessa e ignara della democrazia rischia di essere la nuova condizione del mondo e anzi viene presentata come l’unica civiltà possibile, l’unico ordine conforme a natura a cui non sarebbe lecito resistere e la cui ideologia anzi bisognerebbe essere educati ad abbracciare e a professare come l’unica vera.
Per avere un luogo da cui fare la propria parte per rispondere a questa sfida, i Comitati Dossetti per la Costituzione, l’Associazione per la Democrazia Costituzionale, Altrapagina, l’Associazione Pace e Diritti e altri gruppi e associazioni che si stanno consultando, promuovono un’aggregazione di cittadini intesa a rivendicare il criterio della democrazia costituzionale come vaglio della legittimità delle diverse espressioni della vita economica e ad animare un movimento organizzato di “Economia democratica”.
Economia Democratica intende operare per far prevalere un’altra concezione e pratica dell’economia, in un indissolubile nesso con la democrazia; e ciò senza ignorare il conflitto, alieno tuttavia dalla violenza e ordinato alla giustizia e alla pace; senza nascondere, nella indistinzione di un generico economicismo, lo scarto tra ricchi e poveri, forti e deboli, liberi e oppressi; senza liquidare, come “novecentesca”, la lotta operaia, sapendo vedere le angosce e i volti degli esuberi e degli esclusi e restituendo alla politica il compito di difendere la parte debole nei rapporti economici assegnatole dall’art.3 cpv. della nostra Costituzione.
In questa direzione il movimento di “Economia democratica” cercherà di agire sia promuovendo una comunicazione di saperi, sia attraverso attività di ricerca, di formazione, di studio e di proposta anche legislativa, sia attraverso confronti e dialoghi con i partiti e le formazioni sociali, sia attraverso pubblicazioni, assemblee, web e lotte politiche e sociali, tanto nel raggio nazionale che in quello europeo. Si tratta di riprendere e sviluppare il processo costituzionale italiano, dando nuovo impulso a una produzione di ricchezza che una Costituzione stabile nei suoi fondamenti e dinamica nei suoi svolgimenti può regolare in forme sempre più avanzate, sulla base del primato dei diritti fondamentali dei cittadini rispetto ai poteri economici e finanziari dei mercati; occorre portare il complesso delle istituzioni, dei trattati e della legislazione europea alla coerenza con i principi e i diritti sanciti dalle Costituzioni nazionali dei Paesi membri e dalle Carte, dalle Convenzioni e dai grandi Patti internazionali sui diritti che si tratta oggi non soltanto di attuare ma anche di arricchire e di sviluppare.
La lotta per un’economia democratica non riguarda solo gli economisti né è ristretta alla sfera economica, ma coinvolge tutte le competenze e riguarda la figura stessa della società: allo stesso modo in cui, nella fase creativa della vita della Repubblica, la chiusura dei manicomi voluta da “Psichiatria democratica”, l’integrazione dei bambini disabili nelle scuole ottenuta da “Genitori democratici” e “Insegnanti democratici”, l’attuazione dei principi costituzionali nella giurisdizione perseguita da “Magistratura democratica” e simili, non riguardavano specialisti e interessi di settore, ma perseguivano beni e valori comuni e hanno cambiato la società tutta intera.
Le novità intervenute in Francia dimostrano che la politica può riprendere il suo altissimo ruolo, e che non sono un destino la povertà, la disoccupazione, la precarietà, la diseguaglianza, la perdita dei diritti e dei valori della vita pubblica.
Si può aderire a “Economia democratica” iscrivendosi alla “Associazione per un Movimento per un’economia democratica e costituzionale”, con sede in Roma, c/o Centro per la Riforma dello Stato, via Palestro 12, 00184; il recapito telefonico (c/o Focus-Diritti sociali) è 064464742, in funzione dalle 9 alle 19 dal lunedì al venerdì. Ci si può iscrivere versando una quota annua associativa di euro 50 o una quota di sostegno. Gli studenti, i disoccupati e i diversamente indigenti potranno versare una quota minore, o inviare una promessa di pagamento, non esigibile dall’Associazione. L’iscrizione al Movimento è compatibile con qualsiasi attività e l’appartenenza ad associazioni o partiti.
Quando il Movimento avrà raggiunto una prima soglia di 500 iscritti, sarà convocata la prima Assemblea di Economia Democratica, nella quale saranno discusse analisi e prospettive del movimento, sarà discusso e approvato lo Statuto, saranno eletti i destinati alle cariche sociali. Saranno anche costituiti un Comitato di studiosi comprendente economisti, giuristi e altri esperti, e un Comitato di collegamento per i rapporti e le iniziative comuni da promuovere con gruppi, associazioni, sindacati, partiti e simili. Potrà così partire, speriamo in breve tempo, la vera e propria attività culturale e politica del movimento.
Per iscriversi basta fornire nome e recapiti o alla sede del Movimento, o agli indirizzi e mail Comitatidossetti@tiscali.it; economiademocratica@tiscali.it ; i versamenti possono essere fatti usando il c.c. BNL n 10470 intestato all’Associazione Pace e Diritti, IBAN IT36V0100503373000000010470, oppure recapitati alla sede del Movimento, e ne sarà responsabile, fino alla costituzione formale dell’Associazione, il Comitato promotore dell’iniziativa, rappresentato dai primi iscritti. Il sito web del Movimento è: www.economiademocratica.it  


Elenco iscritti: Raniero La Valle, prof. Luigi Ferrajoli, prof. Umberto Romagnoli, prof. Gaetano Azzariti, Rossana Rossanda, prof. Gianni Ferrara, Franco Russo, Domenico Gallo, Sandro Baldini, Riccardo Terzi, don Achille Rossi, Piero Di Siena, don Carmelo Lorefice, Agata Cancelliere, Concetta Pellicanò, Luisa Marchini, Rodrigo Rivas, Walter Tocci, Francesco Comina, Afra Mannocchi, prof. Raul Mordenti, Enrico Peyretti, prof. Francesco Capizzi, Maria Teresa Cacciari, padre Alberto Simoni, don Luigi Di Piazza, Paolo Lucchesi, Giulio Russo, Fabrizio Truini….


per contatti: Ettore Masina ettore@ettoremasina.it

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