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sabato 20 agosto 2011

IL RITONO AL PENSIERO FORTE: UN CONVEGNO SUL "NEW REALISM"

IL RITORNO AL PENSIERO FORTE

08 agosto 2011 — pagina 36-37 sezione: CULTURA



Uno spettro si aggira per l' Europa. È lo spettro di ciò che propongo di chiamare "New Realism", e che dà il titolo a un convegno internazionale che si terrà a Bonn la primavera prossima e che ho organizzato con due giovani colleghi, Markus Gabriel (Bonn) e Petar Bojanic (Belgrado). Il convegno, cui parteciperanno figure come Paul Boghossian, Umberto Eco e John Searle, vuole restituire lo spazio che si merita, in filosofia, in politica e nella vita quotidiana, a una nozione, quella di "realismo", che nel mondo postmoderno è stata considerata una ingenuità filosofica e una manifestazione di conservatorismo politico. La realtà, si diceva ai tempi dell' ermeneutica e del pensiero debole, non è mai accessibile in quanto tale, visto che è mediata dai nostri pensieri e dai nostri sensi. Oltre che filosoficamente inconsistente, appellarsi alla realtà, in epoche ancora legate al micidiale slogan "l' immaginazione al potere", appariva come il desiderio che nulla cambiasse, come una accettazione del mondo così com' è. A far scricchiolare le certezze dei postmoderni ha contribuito prima di tutto la politica. L' avvento dei populismi mediatici - una circostanza tutt' altro che puramente immaginaria - ha fornito l' esempio di un addio alla realtà per niente emancipativo, senza parlare poi dell' uso spregiudicato della verità come costruzione ideologicae "imperiale" da parte dell' amministrazione Bush, che ha scatenato una guerra sulla base di finte prove dell' esistenza di armi di distruzione di massa. Nei telegiornali e nei programmi politici abbiamo visto regnare il principio di Nietzsche "non ci sono fatti, solo interpretazioni", che pochi anni prima i filosofi proponevano come la via per l' emancipazione, e che in effetti si è presentato come la giustificazione per dire e per fare quello che si voleva. Si è scoperto così il vero significato del detto di Nietzsche: "La ragione del più forteè sempre la migliore".È anche per questo, credo, che a partire dalla fine del secolo scorso si sono fatte avanti delle rivendicazioni di realismo filosofico. Il New Realism nasce infatti da una semplice domanda. Che la modernità sia liquida e la postmodernità sia gassosa è vero, o si tratta semplicemente di una rappresentazione ideologica? È un po' come quando si dice che siamo entrati nel mondo dell' immateriale e insieme coltiviamo la sacrosanta paura che ci cada il computer. Da questo punto di vista, un primo gesto fondamentale è consistito nella critica dell' idea che tutto sia socialmente costruito, compreso il mondo naturale, e sotto questa prospettiva il libro di Searle La costruzione della realtà sociale (1995) è stato un punto di svolta. In Italia, il segnale è venuto da Kant e l' ornitorinco di Eco (1997), che vedeva nel reale uno "zoccolo duro" con cui necessariamente si tratta di fare i conti, portando a compimento un discorso avviato all' inizio degli anni Novanta con I limiti dell' interpretazione. Lo stesso fatto che, sempre in quegli anni, si sia tornati a considerare l' estetica non come una filosofia dell' illusione, ma come una filosofia della percezione, ha rivelato una nuova disponibilità nei confronti del mondo esterno, di un reale che sta fuori degli schemi concettuali, e che ne è indipendente, proprio come non ciè possibile, con la sola forza della riflessione, correggere le illusioni ottiche, o cambiare i colori degli oggetti che ci circondano. Questa maggiore attenzione al mondo esterno ha significato, anche, una riabilitazione della nozione di "verità", che i postmoderni ritenevano esaurita e meno importante, per esempio, della solidarietà. Non considerando quanto importante sia la verità nelle nostre pratiche quotidiane, e quanto la verità sia intimamente connessa con la realtà. Se uno va dal medico, sarebbe certo felice di avere solidarietà, ma ciò di cui soprattutto ha bisogno sono risposte vere sul suo stato di salute. E quelle risposte non possono limitarsi a interpretazioni più o meno creative: devono essere corrispondenti a una qualche realtà che si trova nel mondo esterno, cioè, nella fattispecie, nel suo corpo. È per questo che in opere come Paura di conoscere (2005) di Paul Boghossian e Per la verità (2007) di Diego Marconi si è proceduto a argomentare contro la tesi secondo cui la verità è una nozione relativa, e del tutto dipendente dagli schemi concettuali con cui ci accostiamo al mondo. È in questo quadro che si definiscono le parole-chiave del New Realism: Ontologia, Critica, Illuminismo. Ontologia significa semplicemente: il mondo ha le sue leggi, e le fa rispettare. L' errore dei postmoderni poggiava su una semplice confusione tra ontologia ed epistemologia, tra quello che c' è e quello che sappiamo a proposito di quello che c' è. È chiaro che per sapere che l' acqua è H O ho bisogno di linguaggio, di schemi e di categorie. Ma l' acqua bagna e il fuoco scotta sia che io lo sappia sia che io non lo sappia, indipendentemente da linguaggi e da categorie. A un certo punto c' è qualcosa che ci resiste. È quello che chiamo "inemendabilità", il carattere saliente del reale. Che può essere certo una limitazione ma che, al tempo stesso, ci fornisce proprio quel punto d' appoggio che permette di distinguere il sogno dalla realtà e la scienza dalla magia. Critica, poi, significa questo. L' argomento dei postmoderni era che l' irrealismo e il cuore oltre l' ostacolo sono emancipatori. Ma chiaramente non è così, perché mentre il realismo è immediatamente critico ("le cose stanno così", l' accertamento nonè accettazione!), l' irrealismo pone un problema. Se pensi che non ci sono fatti, solo interpretazioni, come fai a sapere che stai trasformando il mondo e non, invece, stai semplicemente immaginando di trasformarlo, sognando di trasformarlo? Nel realismo è incorporata la critica, all' irrealismo è connaturata l' acquiescenza, la favola che si racconta ai bambini perché prendano sonno. Veniamo, infine, all' Illuminismo. La storia recente ha confermato la diagnosi di Habermas che trent' anni fa vedeva nel postmodernismo un' ondata anti-illuminista. L' Illuminismo, come diceva Kant, è osare sapere ed è l' uscita dell' uomo dalla sua infanzia. Da questo punto di vista, l' Illuminismo richiede ancora oggi una scelta di campo, e una fiducia nell' umanità, nel sapere e nel progresso. L' umanità deve salvarsi, e certo mai e poi mai potrà farlo un Dio. Occorrono il sapere, la veritàe la realtà. Non accettarli, come hanno fatto il postmoderno filosofico e il populismo politico, significa seguire l' alternativa, sempre possibile, che propone il Grande Inquisitore: seguire la via del miracolo, del mistero e dell' autorità.

MAURIZIO FERRARIS

tratto da http://ricerca.repubblica.it/repubblica/archivio/repubblica/2011/08/08/il-ritorno-al-pensiero-forte.html

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