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venerdì 28 gennaio 2011

IL PENSIERO DELLA DIFFERENZA: LUCE IRIGARAY



(l'immagine è tratta dal sito www.phillwbb.net)

Un tempo, non molti anni fa, parlare di sesso, droga e rock'n'roll era felicemente sovversivo. Pur essendo un fatto generazionale, non ho mai avuto a che fare né con la droga né con il rock'n'roll (ho sempre amato i cantautori italiani e conosco pochissimo gli altri). Con il sesso, lasciamo perdere (è un fatto privato, anche perchè non rivesto cariche pubbliche...
Chissà se l'autore della triade citata avrebbe mai potuto immaginare che le croncache di fine impero avrebbero fatto versare non fiumi ma oceani di inchiostro...e non tanto sull'aspetto musicale della faccenda. In ogni caso, chi mi legge sa quanto tenda a non cadere nelle trappole (o lusinghe) dell' "attualità", preferendo fornire spunti di riflessione, personali o prelevati da altri siti. Anche l'articolo che segue non sfugge a questa logica. Buona lettura!
Giuliano

A cura di Wanda Tommasi

Nata a Blaton, in Belgio nel 1930, Luce Irigaray psicanalista e filosofa ha fatto parte della scuola freudiana di Parigi, fondata da Jacques Lacan. Il legame con il movimento delle donne è stato per lei un punto di svolta significativo: vicina al movimento delle donne e talvolta coinvolta in esso, Luce Irigaray ripensa le categorie fondamentali della psicoanalisi e della filosofia a partire dai temi dell’inconscio femminile, del corpo femminile, del legame della donna con la madre.
La rottura con Jacques Lacan e con la sua scuola avviene nel 1974 con la pubblicazione di Speculum: Irigaray non riceve i finanziamenti per pubblicare questo testo e viene sospesa dall’incarico di insegnamento a Vincennes; è accusata di mancare di etica e di mescolare la psicoanalisi con altri discorsi, in particolare con quelli provenienti dal contesto femminista.
Nell’ambito della psicoanalisi ella si avvicina a un pensiero sessuato: il suo essere donna non è indifferente a quello che sta dicendo sulla donna e sull’uomo, sul linguaggio, sul corpo.
Speculum è il testo nel quale la critica di Irigaray alla psicoanalisi di Freud e alla filosofia classica maschile si fa tagliente e dura. Gli uomini, i pensatori hanno prodotto una cultura apparentemente valida per tutti, ma, in realtà segnata dalla differenza maschile: hanno collocato il maschile dalla parte del pensiero e il femminile dalla parte del corpo, hanno cioè presentato la donna come l’immagine allo specchio, come il contrario, come l’opposto simmetrico dell’uomo; la donna è stata definita come mancanza rispetto alla pienezza rappresentata dall’uomo. Contro questa impostazione di pensiero, Irigaray usa l’ironia mostrando che nei discorsi degli uomini la donna non è che l’immagine speculare di ciò che essi mettono in scena di se stessi.
Questa strategia ironica viene usata, in particolare, nei confronti di Freud: Irigaray muove a Freud l’accusa di non aver riconosciuto la specificità e l’autonomia della sessualità femminile, ma di averla ricondotta a quella maschile intendendola come mancanza rispetto a una sessualità maschile assunta come paradigma. Freud non considera la donna come nella sua autonomia, ma la vede come un maschio castrato: tutte le fasi dello sviluppo della sessualità femminile sono ricalcate sulla sessualità maschile; la bambina è concepita come un ometto, con dei genitali più piccoli e risibili e il suo godimento è pensato ad imitazione di quello maschile.
La descrizione freudiana dell’invidia del pene, nella donna, è guidata secondo la Irigaray dallo sguardo maschile: è l’uomo che non vede nella bambina niente di simile a sé e ne resta inorridito, per cui costruisce un parallelismo fra la paura maschile della castrazione e l’invidia femminile del pene; ma è l’uomo a provare la paura della castrazione e a veder rispecchiata tale paura nella donna; se il rassicurante specchio femminile non rimandasse questa immagine , se non ci fosse, da parte femminile invidia del pene la costruzione maschile narcisistica crollerebbe.
Altrettanto discutibile è ritenuto da Irigaray il passaggio dall’amore all’odio per la madre che, secondo Freud, accompagnerebbe, nella donna, il suo divenire adulta: mentre la donna dovrebbe passare dall’amore della madre a quello per il padre, l’uomo potrebbe restare polarizzato sull’amore per la madre; ma si chiede Irigaray, quale funzione può avere una donna, una moglie, se è inconsciamente identificata con la madre dell’uomo? L’amore della figlia per la madre non ha trovato espressione all’interno dell’ordine patriarcale: occorre indagare questo legame dimenticato, non interrogato all’interno della cultura patriarcale.
Come si può intuire da questi pochi cenni, Irigaray evita di proporre a sua volta una immagine del femminile, una sua identità: si limita a criticare le rappresentazioni che l’uomo ha fornito della donna , attraversa l’immaginario maschile per mostrare che c’è qualcosa della donna che va oltre ed eccede queste figure.
Irigaray suggerisce che c’è una rimozione originaria su cui sono stati costituiti i fondamenti della razionalità occidentale e della psicoanalisi: tale rimozione riguarda l’assassinio della donna-madre un evento ancora più arcaico del parricidio che Freud pone all’origine della civiltà. La logica del Medesimo e il predominio dell’Uno rispetto al molteplice, che da sempre predominano il pensiero occidentale, hanno portato a pensare il femminile soltanto come una mancanza, non-luogo, sottrazione rispetto la maschile, all’Uno.
Irigaray passa in rassegna la filosofia di Platone, di cui mette in luce la movenza di appropriazione della materia da parte del logos e l’esclusione del femminile per mirare alle idee eterne, il pensiero di Aristotele, che qualifica la donna come madre-materia a vaso, ricettacolo e quello di Plotino in cui la materia è caratterizzata come non essere.
Irigaray vuole sottolineare che il relegare la donna dalla parte del non essere la riduce al mutismo le toglie ogni possibilità di parola : infatti nelle pagine dedicate a Plotino, lo spazio che l’autrice a salvaguardare per sé cioè una parola di donna è solo quello di alcuni puntini di sospensione intervallati dalla citazione delle Enneadi.
Nell’ordine patriarcale afferma l’Irigaray la donna ammutolisce; oppure, significa il suo desiderio, attraverso il sintomo, la malattia, il corpo come nel caso dell’isterica che nella sua messinscena cerca di aprire un varco alla sua prigionia.
Nella sua ricognizione della filosofia occidentale, volta a denunciare il legame implicito fra ragione e mascolinità, Irigaray prosegue con Cartesio in cui l’io penso paga il prezzo per la conquista della propria certezza dell’eliminazione di ogni realtà oggettiva, con Kant, di cui l’autrice sottolinea la cancellazione dell’empiricità e dell’immediatezza del rapporto con la madre per poter elaborare l’oggetto trascendentale e infine con Hegel in cui il femminile compare come eterna ironia della comunità.
Questo attraversamento della Filosofia Occidentale consente di dimostrare che il di discorso patriarcale ha tolto diritto di cittadinanza a un altro discorso quello del corpo e del linguaggio gestuale: l’obiettivo di Speculum è quello di interrogare l’altro linguaggio, quello censurato,rimosso, per rendere manifesta la differenza sessuale nel pensiero. Il tema  dello specchio, cioè della donna come la vuole l’uomo, viene contrapposto al tema della donna come altro: ma la donna come altro l’uomo, purtroppo, non è capace di vederla: non può scorgere l’autonomia del desiderio femminile, perché vuole vedere nella donna solo l’immagine invertita di sé; si ha così il rispecchiamento di una  sola sessualità quella maschile e fallica, e di un modo di pensare ad essa corrispondente.
In Etica della Differenza Sessuale(1985), Irigaray cerca di delineare le forme simboliche di un linguaggio che sia fedele all’esperienza delle donne: tratta i temi del tempo, del luogo, del divino, del soggetto e dell’altro. Per abitare e per avere una dimora propria, le donne hanno bisogno di parole, di un simbolico conforme all’esperienza femminile. Irigaray chiede come una donna possa amare se stessa senza passare necessariamente attraverso l’uomo:la continua donazione di amore all’altro, all’uomo è come una specie d’emorragia; ostacola il ritorno di una donna a se stessa, la costruzione di un luogo proprio di una dimora.
D’altra parte, l’amore del medesimo, cioè l’amore fusionale e confuso tra donne e della donna con la madre è più d’ostacolo che d’aiuto: è infatti un amore come fusione, senza immagini e senza parole che costringe a identificarsi con il materno a pensarsi tutte sorelle, fuse, unite in una sorta di comunismo primitivo che spesso, di fatto, è notevolmente aggressivo. La cultura maschile ha tratto alimento da questo tipo di rapporti tra donne. Occorre una vera socialità fra donne, che permetta un ritorno a sé come amore di sé. La prima condizione è di avere un linguaggio come luogo dove abitare, in cui vi siano parole che tengano insieme il legame affettivo tra donne e la possibilità di scambio, senza confusione; c’è bisogno di un simbolismo tra donne; il linguaggio è indicato come luogo dove è possibile abitare, come terreno dello scambio.
La seconda condizione affinché vi sia socialità femminile articolata è che i rapporti fra donne si strutturino lungo due assi, l’asse verticale del rapporto madre-figlia e l’asse orizzontale del rapporto fra donne; i due assi si incrociano e il loro incrocio può dar vita ad un ordine simbolico femminile. Il femminile può indicare con il suo percorso anche in direzione della trascendenza: alla trascendenza femminile è legata la figura del trascendentale sensibile, un divino che passa attraverso il corpo e la sensibilità che non separa il corporeo dallo spirituale; Irigaray lo lega all’immagine del mucoso simbolo della prossimità tattile, della soglia sempre dischiusa della sessualità femminile.
È da notare il fatto che, in quest’opera, a differenza che in Speculum si confronta in positivo con alcuni autori della tradizione, instaurando con loro un dialogo; emblematico è da questo punto di vista il riferimento a Cartesio, che in Speculum era visto come esempio di un sogno solipsistico costruito a spese del corpo della donna, della materia e delle radici corporee dell’io, mentre nell’Etica è valorizzato, pur nella sua mancata consapevolezza della differenza sessuale, per la forza propositiva della sua nozione di ammirazione che Irigaray propone di adottare come sentimento di fronte all’altro sesso, come punto di partenza per la ricostruzione di un tessuto simbolico dell’eterosessualità. In Etica compare infatti il tema delle nozze, dell’incontro fra uomo e donna, che sarebbe possibile come vero incontro, senza sopraffazione, una volta che, sul versante femminile si sia costituito un proprio ordine simbolico.
Nei suoi testi più recenti, Irigaray si è concentrata sempre di più sulla figura dei due, il due della coppia donna-uomo: ha interrogato l’amore tra donna e uomo che ha bisogno di trascendenza, silenzio e di invisibile. Ha cercato inoltre di ripensare le forme della politica a partire dall’essere due della differenza sessuale e ha avanzato la proposta di un diritto sessuato.
Resta fermo comunque nei suoi testi, da quelli degli anni settanta agli attuali il riferimento ai movimenti delle donne come luoghi in cui rifiutata la strada dell’emancipazione che porta all’omologazione e ai modi di essere maschili, le donne costruiscono forme teoriche e politiche di espressione e di articolazione delle potenzialità inesplorate del femminile.
Irigaray, nella sua decostruzione del fallologocentrismo , che riduce la donna a vuoto, a niente, indica alcune figure di un altro sistema simbolico, di matrice femminile, come quelle prima ricordate, il trascendentale sensibile e il mucoso, o quella del corpo della donna, delle labbra del suo sesso che si toccano, si distanziano, sono l’una il doppio dell’altra.
Tracce della differenza femminile sono anche, nei testi di Irigaray, un rapporto privilegiato al riso e al gioco piuttosto che al prendere,alla resistenza di ogni codificazione normativa.
Irigaray rende così disponibile uno spazio discorsivo diverso per il femminile. In lei l’opera della decostruzione della metafisica e del dominio fallologocentrico intrapresa anche da altri pensatori,
come Derida e Deleuze, approda non solo alla critica del soggetto sessuato maschile e al primato della ragione, ma alla possibilità di un modo di pensare nuovo, non logocentrico alla filosofia della differenza sessuale:”La differenza sessuale sarebbe l’orizzonte di mondi una fecondità ancora non avvenuta. Almeno in Occidente, e senza ridurre la fecondità alla riproduzione dei corpi e delle carne. Fecondità di nascita e di rigenerazione per i partner amorosi,ma anche di un’epoca nuova di pensiero,arte, poesia, linguaggio...Creazione di una nuova poetica”.


Tratto da http://www.filosofico.net/irigaray2.htm

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