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lunedì 22 novembre 2010






Il migrante dell’anima.



Ovunque e in nessun luogo

 di  Laura Tussi

L’avventura del conoscere è implicita nella concezione nomade, errante e migrante dell’esistenza, nel viaggio senza fine e senza meta dell’essere, dove assume importanza il soggetto e non il suo possesso.
Il sé e l’altro, nell’aprirsi alla diversità e alla dialogicità del confronto tra realtà identitarie, aboliscono il superfluo dettato dall’avere, a discapito dell’essere e ingenerano volontà di comprensione e solidarietà, dove il diverso è inteso come antistante e compensatore, nell’interazione dialogica. Il nomade irrequieto che peregrina in ciascuno di noi è fonte di disagio emotivo, di travaglio interiore e ci espone inermi agli altri che temiamo opposti e contrari.

Il pellegrino dell’anima è un inesausto conoscitore dei nostri disagi esistenziali e stanziali, delle emotività implicite, delle reazioni alla monotonia del quotidiano dove l’essere spazia alla ricerca di soggetti pensanti, aperti all’alterità e proiettati a esportare la propria interiorità in molteplici ibridazioni e commistioni relazionali nella pluriappartenenza emotiva al mondo circostante, tra le cesure e le discontinuità dell’esistenza.

Così il migrante della nostra anima si apre al pensiero, alla curiosità del sapere, alla volontà di conoscere, nel viaggio itinerante di incontri, dialoghi, rapporti, progetti da ripartecipare nei contesti comunitari, negli ambiti di impegno e di partecipazione attiva e militante, nella promozione di una cultura che alimenti la pace e apra ai diritti di libertà, uguaglianza ed equità sociale.

Il nomade irrequieto conosce, comprende e pensa nel suo viaggio itinerante, attraverso i luoghi del mondo e gli anfratti inesplorati del proprio sé, in inconsce sfaccettature emotive di intimistiche evasioni che lo proiettano in altrove distanti, remoti, dove i luoghi lontani si avvicinano con il pensiero dell’esperienza e si rendono prossimi nell’anelito al dialogo e al confronto con il volto dell’altro. L’erranza itinerante dei nostri pensieri traspira in molteplici alchimie ed intime sonorità e amenità emotive, dove l’altro si rifugia nel conforto di un approdo, di un riferimento, per affrontare il disagio della civiltà, nella diversità e nelle difficoltà del quotidiano intrise di scontri, disaccordi, negatività. Il rifugio nell’altro, per superare il sentimento di estraneità che ci preclude tra simili, come appartenenti ad una realtà umana comune, è l’atto che riconosce la propria somiglianza con gli altri, nel rispetto delle differenze che rivendicano ragioni, diritti e aspirano alla pace planetaria.

L’erranza del soggetto è un pensiero di pace che travalica i limiti, i confini, le frontiere, in un sentire umanitario che coinvolge le differenze, le prerogative, i caratteri di ciascuno, dove la certezza e il presupposto dogmatico vengono smussati dal confronto dialogico, in un’ottica orientata ad una cultura e ad un’esperienza del conoscere, volta al bene comune e alla realizzazione piena di un’umanità orientata alla pace, oltre le intolleranze e le discriminazioni, dove tutti riconoscano il nomade e migrante che è in ciascuno di noi, in ogni dimensione spaziale e temporale. L’errante dell’umanità accomuna le latitudini del pianeta e le dimensioni del tempo, perché anche i nostri padri erano migranti, così come nell’attualità anche noi diventiamo nomadi del nostro essere, dell’esistere che accomuna tutti come fratelli e sorelle, donne e uomini, artefici di progetti comuni di pace, giustizia, libertà e solidarietà, oltre il primato dell’individualismo e dell’economico, del prosaico e dell’effimero, senza l’intolleranza e l’aggressività che il sistema sociale attuale impone con il consumismo e il capitalismo portati all’eccesso.

Un destino comune di pace oltre le restrizioni imposte dai nazionalismi, dagli sciovinismi, dai settarismi, oltre le guerre e conflitti per un futuro aperto all’accoglienza del più debole, dell’emarginato, dell’ultimo.

Il pensiero errante riflette il bisogno del diseredato, la necessità di colui che chiede senza ricevere e che mendica comprensione, accettazione e accoglienza, perché ognuno di noi vive nell’altro e nell’altrove. La diatriba tra il sé e il confine dell’altro si apre alla riflessione dell’ignoto in percorsi itineranti del sentire comune, proiettato verso un futuro di pace e accoglienza, in percorsi aperti al sapere della storia e delle memorie individuali, collettive e condivise, dove il ricordo del tempo funge da monito per il presente, nella costante interazione dialettica tra passato e futuro, per non dimenticare gli errori della storia, nell’impegno verso la realizzazione di una società che abbia come valore fondante la pace, nell’uguaglianza dei diritti sociali e civili e nella differenza propria di tutti e di ciascuno, da tutelare come prerogativa identitaria comune.
da http://www.educationduepuntozero.it/community/migrante-dell-anima-ovunque-nessun-luogo-3079565096.shtml

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